Foto di Lorenzo Bolzani, intervista di Helga Bernardini
Dopo aver visto e fotografato il concerto a Milano, abbiamo seguito i Dead Cat In A Bag sul set del loro videoclip realizzato da La Blues per Fargo, la rassegna musicale di Folk-Blues alla quale quest’anno abbiamo prestato un po’ di occhi e tanto cuore.
“F A R G O Un posto dove si intrecciano storie sul palco e sotto il palco. Noi ispirati dai musicisti e loro da noi. È un luogo in cui si raccolgono le atmosfere della provincia americana fatte di desolazione, di grandi amori perduti, di tenebre, eppure anche di grandi slanci e sogni, di polvere alzata dal vento di sguardi verso l’orizzonte”
In perfetta corrispondenza con le atmosfere di Fargo, la scelta del set ricade su un’area industriale dismessa.
Ringraziamo i ragazzi di La Blues per questa opportunità, i DCIAB tutti e in particolare, per avere risposto successivamente ad alcune domande, Luca Swanz Andriolo (voce e fondatore del gruppo) e Andrea Bertola (violinista e videomaker).
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Chiediamo a Swanz, di raccontarci qualcosa in più sull’album al quale sta lavorando.
Al momento sto lavorando su un album solista, sempre a nome Swanz The Lonely Cat. Se il primo era, almeno nelle intenzioni, folk casalingo basato su cover intramontabili e quasi del tutto acustico, il prossimo è lo sviluppo di una colonna sonora teatrale che ho scritto, si chiamerà Macbeth ed è… prevalentemente elettrico, addirittura elettronico. Ma non mancherà una nota di banjo, qua e là, molto armonium e un po’ di voce, quasi sempre recitativa. È un disco che flirta col minimalismo ma sconfina nell’harsh-noise, costeggia la musica concreta e si permette qualche momento di vera armonia, anche se a un primo ascolto non sembra e la partenza pare legata allo stile drone. Diciamo che è l’altro lato del vecchio Swanz, quando non è con i suoi Dead Cat.
Con la band, siamo nella fase di preproduzione del prossimo album. Che per ora non assomiglia molto a Sad Dolls And Furious Flowers, perché sembra più “aperto” e meno sperimentale. Ma questo è ciò che diciamo ogni volta. E poi c’è il disco a quattro mani e due voci con Stella Burns. Direi che la carne al fuoco sia persino troppa, considerando che la legna non abbonda mai. Quest’anno ho avuto l’onore anche di partecipare al disco dei Silent Carnival e di Gianni Maroccolo, perciò lascio sempre tempo e spazio per le collaborazioni.
Il vostro ultimo album “Sad Dolls And Furious Flowers” è stato accolto con entusiamo dalla critica e alcune riviste musicali lo hanno menzionato tra i 10 album dell’anno (2018). Nelle recensioni viene sempre sottolineata l’intensità delle liriche, di cui sei autore. Ti ho sentito accennare a “un’idea di pubblicare qualcosa di narrativo” è un intento o stai lavorando a qualcosa?
Ho sempre scritto e spesso pubblicato. Sono stato più uno scrittore e un fotografo che non un musicista, anche per formazione. Per ora, però, le canzoni mi bastano. Più o meno, perché c’è sempre in cantiere la graphic novel con Daniele Galliano. Però per ora non penso a dei libri… oppure potrei raccogliere i racconti – molti dei quali confluiti nei testi – e tentare qualcosa. Ma sono molto pigro, lo ammetto. Ho lavorato anni come editor e non so fare l’editor di me stesso!
Durante la registrazione del videoclip live per “FARGO” della Scighera, a un certo punto ti sei allontanato a scattare delle fotografie e quando sei ricomparso hai detto sorridendo “Ho trovato Dio”. Quelle immagini sono ora sui tuoi social, e sono scatti particolarmente intensi e coinvolgenti. Vuoi dirmi qualcosa di più sulla fascinazione che provi per i paesaggi urbani abbandonati, per gli scheletri architettonici dell’ archeologia industriale?
Più che Dio ho trovato Tarkovskij, ma per me sono la stessa cosa. Parli di archeologia industriale, come ai vecchi tempi, mentre ora l’urbex è quasi uno sport. A mio parere in questo momento la fotografia dovrebbe dedicarsi a rendere interessante il banale, anziché banalizzare l’interessante, ma i mezzi offrono troppe possibilità d’estetizzazione, sempre un poco pericolose, e si tende un poco all’estetizzazione barocca o al documento nudo, senza l’auspicabile via di mezzo. Ho abbandonato la fotografia artistica e quella professionale anni fa. Ora faccio soltanto le fotografie per i Dead Cat e qualche foto ricordo per me stesso, spesso col cellulare, come tutti. Non credo nell’immediatezza di un medium, non cerco la spettacolarizzazione e sto ben alla larga dall’arte contemporanea.
L’aspetto visivo della vostra band è molto curata e realizzate da soli i vostri video. Trovo quello di “Silence is not pure”, di una struggente purezza, vuoi raccontarmi qualcosa su come sia nato il video?
Per questo devi chiedere ad André, che è il nostro regista e videomaker, oltre che polistrumentista prezioso e violinista insostituibile. I Dead Cat sono una sorta di piccola factory e tendono anche all’autarchia. La canzone parla dell’ora del lupo, del silenzio sul fare del giorno, un po’ come Mexican Skeletons che si trova su Dolls & Flowers: un’ora maledetta per gli insonni e per gli ansiosi, non tanto bella per chi fa un lavoro coi turni scomodi… e del silenzio, che non è mai completo, come suggeriva John Cage. La canzone è un ibrido tra elettronica e Tex-Mex, perciò il video non avrebbe potuto che essere così… c’è una rosa ardente di bellezza, due palloncini che esploderanno, l’acqua che arriverà troppo tardi e la falena che passa e si brucia. Sui dettagli tecnici lascio la parola a lui.
(Andrea Bertola) Il video nasce da prove sperimentali di ripresa in super slow motion. L’idea del videoclip è venuta dopo, quando, alla trentesima rosa imbevuta di benzina a cui ho dato fuoco, una falena, che svolazzava nella stanza, è passata in mezzo alle fiamme della rosa che bruciava. La Falena ha volato perfettamente in asse con lo stelo della rosa e poi a virato in mezzo alle fiamme del bocciolo per poi uscire di campo volando verso destra… Da questo avvenimento nasce la storia di una rosa che, con due palloncini che apparentemente volano sopra di essa, all’improvviso prende fuoco. Ad un certo punto una falena volando passa in mezzo alle fiamme facendo cadere la rosa. I palloncini svolazzanti ora esplodono liberando l’acqua di cui sono pieni. L’acqua che avrebbe potuto spegnere per tempo le fiamme, cade sulla rosa ormai carbonizzata e la distrugge definitivamente.
Curiosità tecnica: girare in slowmotion con luce a tungsteno (una normale lampadina) implica che la frequenza della luce vada in conflitto con la frequenza dell’otturatore della macchina da presa. Questo genera una pulsazione di luce che in slowmotion risulta lenta ed evidente. Da questo “problema” è nata l’idea di associare il brano Silence Is Not Pure che come base costante ha un suono sintetizzato che pulsa, trasformando un difetto apparente in un elemento sinergico a beneficio del video.
Curiosità stilistica:questo videoclip, come del resto tutti i videoclip ufficiali dei Dead Cat in a Bag, sono girati sempre nella stessa location. Un vecchio mulino abbandonato e poi trasformato in residenza musicale artistica (è la nostra sala prove) nei pressi di Torino.
Altre Curiosità:
Rose bruciate : 32
Benzina usata: 2 litri
Palloncini scoppiati: 8
Minuti totali di girato: più di 200 (a materiale già convertito a 25 fps)
Software per il trattamento e compositing delle immagini: After Effects
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