Intervista a Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari

In occasione delle repliche de “La prima, la migliore” al Teatro Elfo-Puccini di Milano, a febbraio 2017, DissolvenzeLab ha incontrato la Compagnia Berardi-Casolari, e le ha rivolto  qualche domanda per conoscere meglio la sua idea di teatro.
Se volete saperne di più sullo spettacolo, rileggete l’articolo e date un’occhiata alle immagini dello spettacolo “La prima, la migliore” (cliccate sul link).

L’idea dello spettacolo è nata grazie alla lettura del romanzo “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Remarque. Ci potete spiegare come si è sviluppato e continua a crescere questo lavoro?
Il lavoro, come al solito e come è giusto che sia quando si parla di teatro, cresce e si sviluppa giorno dopo giorno: sedimentando nei nostri corpi, nelle nostre menti, nei nostri pensieri, nostro malgrado. Questo porta ad una maturazione che, ad ogni recita, ti fa trovare di fronte a qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso che vuoi e puoi aggiungere, sottrarre o modificare. Per quel che riguarda “La prima, la migliore” nello specifico, il nostro lavoro si è evoluto  nel tempo anche drammaturgicamente e registicamente, a seconda di quello che abbiamo sentito necessario allo spettacolo, a seconda di quello che abbiamo continuato a studiare e leggere, a seconda di quello che succede nel mondo, e intorno a noi.

In un’intervista Gianfranco ha detto “una grande certezza che noi abbiamo dell’epoca contemporanea è la battaglia”. Quale battaglia? Del quotidiano o altro?
Le battaglie son battaglie, che siano quotidiane o meno. Il teatro è una battaglia quotidiana, fatta anche di aspetti invisibili e poco creativi. Ma persino, come ti dicevamo sopra, il lavoro artistico è fatto da tante piccole battaglie: battaglie che hai con te stesso, con la storia, con il testo, con le idee. Tutto questo costituisce il terreno preparatorio per le grandi battaglie, le grandi rivelazioni che, spesso a distanza, uno spettacolo ti fa conoscere. Il nostro teatro, che a noi piace chiamare contro-temporaneo, si occupa molto del tema del conflitto che l’individuo ha con se stesso e con la realtà che lo circonda e che lo spaventa. Noi siamo sicuri che il conflitto ci ha aiutato molto a crescere, come esseri umani prima ancora che come artisti. Ma per conoscerci e per crescere abbiamo dovuto battagliare e continuiamo a farlo.

Quali battaglie sentite più urgenti? E quali sentite di riuscire a combattere attraverso il teatro?
Le battaglie sono tutte necessarie ed un individuo le fa con tutto se stesso, con tutto quello che gli appartiene, che sia con il teatro o con altri mezzi. Le nostre battaglie sono di libertà, di leggerezza, e le conduciamo attraverso l’acquisizione di consapevolezza, di critica e di denuncia della contemporaneità, della società ed anche attraverso la critica di noi stessi. Dato che facciamo teatro (e non è un caso),  facciamo queste battaglie con il teatro. Non ci sono battaglie maggiori o battaglie minori: ci sono piccoli passi che sono preparatori, necessari ai grandi salti. Se guardi un atleta prima di spiccare un salto, fa una serie di piccoli passi. Un artista è così: parte insicuro, lento, poi accelera, finché non si sente sicuro, convinto e spicca il salto. Quello che sarà, conta forse anche poco. L’importante è chiudere gli occhi e… saltare. A braccia spalancate.

Intervista di Diego Cantore